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VOTO LOCALE DAL RESPIRO INTERNAZIONALE. LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE IN KOSOVO

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Un’elezione lunga un mese e divisa in tre atti (1) quella che si è tenuta nella provincia separatista (e contesa) serba del Kosovo e con la quale sono state rinnovate le amministrazioni delle municipalità di cui si compone.

L’evento elettorale rappresentava il concreto attuarsi del punto 11 dell’accordo siglato il 19 aprile a Bruxelles dai premier Thaci e Dacic, secondo il quale consultazioni elettorali si sarebbero tenute su tutto il territorio della provincia autoproclamatasi Stato nel 2008 nel quadro di riferimento legale del Kosovo. Le elezioni del 3 novembre, quindi, hanno rappresentato la prima pietra dell’organizzazione territoriale della regione sotto il controllo di Pristina: con la chiusura di tutte le strutture controllate e finanziate dalla madrepatria e presenti nella parte settentrionale termina la presenza nominale serba nel Nord del Kosovo e si conferma, de facto, l’indipendenza della provincia a maggioranza albanese. Il voto, infatti, serviva soprattutto a dare forma e rappresentanti legali a quelle nuove strutture autonome dei serbi del Kosovo previste dall’accordo di Bruxelles, dotate di poteri esecutivi, propri organi di rappresentanza e inquadrate nella cornice costituzionale della Repubblica del Kosovo.

 

 

 

LOCALE DAL RESPIRO GLOBALE: GLI INTERESSI DIETRO LE ELEZIONI

Pur trattandosi di un voto per il rinnovo di istituzioni amministrative, i diversi interessi ancora presenti nella regione hanno trasformato la consultazione da puramente locale in qualcosa di interessante a livello internazionale.

Ovviamente, erano di particolare interesse per l’assetto interno e la maturità statuale del Kosovo: dato che queste erano le prime elezioni che si tenevano sull’intero territorio della regione – in precedenza i serbi del Nord avevano votato in elezioni organizzate da Belgrado –  Pristina doveva dimostrare di essere in grado di organizzare elezioni libere, democratiche e trasparenti. La realtà dei fatti ci restituisce una Repubblica del Kosovo come uno Stato ancora non maturo, tuttora in transizione, che non sembra pronto per camminare con le proprie gambe – il Kosovo è il Paese più povero del Vecchio Continente, con una economia inesistente, un tasso di disoccupazione superiore al 30% e un livello di povertà (intorno al 30%) direttamente proporzionale a quello della corruzione che dilaga in tutti i settori e a tutti i livelli – e con una fiducia nelle istituzioni ancora tutta da costruire (il dato relativo all’affluenza alle urne è significativo: al primo turno dei circa 1.700.000 potenziali elettori si sono recati alle urne assai meno del 50% degli aventi diritto, mentre il dato è sceso al 40% in occasione del secondo turno che si è tenuto l’1 dicembre). (2)

Anche Belgrado guardava con sguardo interessato a quanto succedeva ai seggi e attendeva con ansia i risultati del voto perché considerava le elezioni il mezzo formale per legittimare la propria presenza in Kosovo attraverso la vittoria alle urne della lista Iniziativa Civica “Srpska” – fortemente finanziata e sponsorizzata dalle istituzioni serbe – che avrebbe, conseguentemente all’affermazione elettorale, garantito il controllo della futura della Comunità delle Municipalità serbe (da adesso CMS).

I terzi attori ad avere interesse nel buon andamento delle elezioni erano l’Unione Europea e, di rimando, gli Stati Uniti – o viceversa – che consideravano le amministrative come parte integrante della messa in pratica degli accordi stipulati a Bruxelles e un passaggio obbligato in vista dei prossimi passi verso l’allargamento comunitario nella regione balcanica. Il 28 ottobre 2013 si era registrato un nuovo momentum nelle relazioni UE – Kosovo con la firma del Stabilisation and Association Agreement (SAA), primo passo concreto per l’integrazione europea della regione.

Queste elezioni hanno un’importanza eccezionale per il futuro del Kosovo. Così si era espressa l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera e sicurezza Catherine Ashton nei giorni immediatamente successivi il primo turno del 3 novembre.

E per la politica europea, verrebbe da aggiungere. Per entrare in una seria relazione con Bruxelles, Pristina necessita di implementare i valori comunitari come la libertà, la democrazia, una buona gestione dello Stato, il rispetto dei diritti umani e la costituzione di uno stato di diritto. In quest’ottica, le elezioni amministrative rappresentavano un primo test sia per valutare la maturità del Kosovo, della sua politica, dei suoi rappresentanti e della sua popolazione sia, per Bruxelles, per valutare la politica estera e di allargamento dell’Unione Europea nella regione. Viste sotto questa luce, non meraviglia se le delegazioni internazionali hanno salutato come un successo un evento elettorale caratterizzato da standard minimi, scarsa partecipazione, incidenti ai seggi, liste elettorali piene di errori. Per i delegati dell’OSCE, organismo preposto alla supervisione elettorale, seppur costretti alla fuga dall’assalto ai seggi di Mitrovica Nord, il processo si è tenuto in modo regolare. Questo, invece, il giudizio di Roberto Gualtieri, capo delegazione dell’UE in Kosovo: “il 3 novembre è stato un giorno molto importante per il Kosovo. I kosovari hanno colto l’opportunità di votare, per esprimere il loro diritto democratico e per scegliere i loro rappresentanti. Nella maggior parte del Paese, la giornata elettorale si è svolta in maniera calma e pacifica. Certamente condanno gli attacchi nel Nord di Mitrovica/Mitrovicë che sono stati non solo attacchi ai seggi, ma al diritto fondamentale delle persone di esprimere la loro volontà attraverso le urne. Ciononostante, il fatto che le persone siano andate a votare dimostra il fallimento di coloro che intendevano boicottare il voto”. (3)

In Kosovo, la parola successo ha assunto, quindi, sfumature inattese e un carattere relativo perché il giudizio sullo svolgimento delle elezioni non poteva che essere positivo: la presenza di un failure State alle porte d’Europa è inaccettabile per le istituzioni comunitarie che in questa regione si stanno giocando una partita internazionale di vitale importanza. Ne andava delle strategie di politica estera operate da Bruxelles che ha dimostrato di non avere un piano B rispetto al perseguire un progetto di integrazione europea nei Balcani resosi sempre più necessario per contrastare l’attivismo diplomatico ed economico turco – le parole di Erdogan Türkiye Kosova’dır, Kosova Türkiye’dir (la Turchia è Kosovo, il Kosovo è Turchia)  pronunciate in occasione di una recente visita nella regione  ha posto un ulteriore preoccupazione nella diplomazia di Bruxelles – e russo; e ne andava, inoltre, del cinico prestigio di Lady Ashton, pronta a lasciare la carica nel 2014 non prima di aver segnato un risultato tangibile del proprio operato.

 

 

 

LE CONSEGUENZE DEL VOTO

 

La mappa del potere in Kosovo

Le elezioni amministrative hanno cambiato la mappa e gli equilibri del potere interno del Kosovo tanto che, come ha titolato il quotidiano di Pristina Koha Ditore, abbiamo assistito ad un Terremoto in Kosovo: gli elettori hanno punito, in via diretta, gli amministratori locali verso cui l’insoddisfazione era palpabile e, per via indiretta, i centri di potere della capitale.

Ramush Haradinaj, recentemente assolto dal Tribunale de L’Aja ed esponente di prestigio dell’Alleanza per il futuro del Kosovo (AAK), analizzando a caldo la natura del voto ha fatto notare come il risultato delle elezioni sia dovuto allo scontento e l’insoddisfazione per la governance a livello nazionale. Questo stato d’animo verso il potere centrale si riflette a livello locale dove i cittadini hanno manifestato la propria opinione verso coloro che li amministrano al livello più basso.

D’altronde, il dialogo con Belgrado e l’accordo di Bruxelles hanno fatto emergere un sentimento contrario alle linee della normalizzazione e, insieme, hanno fatto sì che l’attenzione si spostasse sui problemi interni e sulla necessità di riforme strutturali per lo sviluppo del Paese.

In tutto questo, un dato è innegabile: la perdita di consensi e di appoggio al sistema di potere centrato sulla figura del premier Hashim Thaci, il grande sconfitto. Il suo Partito Democratico del Kosovo (PDK) ha perso molte municipalità anche a causa dei numerosi processi per corruzione cui i suoi esponenti e candidati sono implicati; rete di corruzione che, secondo alcuni analisti, ha consentito finora a Thaci di mantenere il controllo su un Paese che è governato da strutture informali, la cui assemblea parlamentare è disfunzionale e sottoposta alla volontà di “supervisori invisibili” che sono le potenze del Quint (4).

I risultati dovrebbero portare a riflessioni profonde sugli equilibri di potere tra le forze politiche in vista delle prossime elezioni parlamentari. Se sino a questo momento, le forze di opposizione al potere di Thaci hanno mostrato incapacità di attrarre consensi necessari per formare una vera e credibile alternativa per un cambio di Governo, adesso, con la mappa del potere che ha assunto nuove forme, gli scenari futuri per la politica interna del Kosovo sembrano essere destinati a mutare: il PDK ha subito una forte perdita, in termini di suffragi e di municipalità, anche in molti centri considerati roccaforti del partito e, in virtù di questo, la Lega Democratica del Kosovo (LDK) si candida fortemente a divenire il primo partito del Kosovo dal momento che ha fatto registrare una vittoria in nove municipalità e ha ridotto il gap con il PDK in termini di voti; anche se, dopo 14 anni, Isa Mustafa, leader del partito, ha perduto la capitale Pristina che adesso verrà amministrata da Shpend Ahmeti del Movimento Autodeterminazione! (Vetevendosje), contrario all’accordo di Bruxelles. Male, contro ogni previsione, l’AAK di Haradinaj, cui non è bastato il ritorno in patria del vecchio leader per ottenere un risultato soddisfacente, che ha vinto in sole tre municipalità e perduto due importanti roccaforti come Peja e Gjakova.


 
Serbia, serbi e elezioni nel nord del Kosovo

Le elezioni amministrative hanno messo in evidenza un altro fatto difficilmente negabile: la divisione tra i serbi che vivono a Nord del fiume Ibar, nella parte settentrionale della regione, e quelli che, invece, vivono nelle enclaves sparse sul resto territorio. Il diverso tasso di partecipazione ne è la testimonianza tangibile: a fronte di un marcato astensionismo registrato nelle municipalità del nord (al primo turno poco più del 12%) ha fatto da contraltare una notevole partecipazione dei serbi che vivono a Sud del fiume Ibar dove si sono toccate anche punte del 60%. RadaTrajkovic, deputata della Lista Unica Serba al Parlamento di Pristina e cittadina di Gracanica alla vigilia delle elezioni aveva delineato le differenze tra i serbi che vivono in Kosovo: “Noi nelle enclaves abbiamo già passato un processo difficile che aspetta i Serbi del Nord. Siamo passati nella posizione che dobbiamo lottare da soli, ma nel Parlamento del Kosovo adesso si sente la voce di resistenza. Noi abbiamo lottato per il riconoscimento, ma come spiegarlo ai serbi del Nord”.

Il dato sopra riportato non deve sorprendere perché la popolazione del Nord non è preparata a lasciarsi alle spalle gli anni di rivendicazioni e di guerra. Quattordici anni sono pochi per dimenticare e l’idea sostenuta da Belgrado e da Bruxelles, che i serbi avrebbero partecipato numerosi al voto, si è rivelata essere un puro azzardo.

Aleksandar Vucic, Presidente del Partito Progressista Serbo, aveva rivolto un accorato invito a serbi del Nord del Kosovo a recarsi alle urne: “voi siete gli unici che possono mantenere e preservare la Serbia in Kosmet”. Al primo turno, invece, i serbi non hanno dato ascolto alle voci belgradesi e hanno disertato le urne. Neppure Krstimir Pantic, l’uomo forte di Belgrado in Kosovo, candidato a sindaco di Mitrovica Nord e esponente di spicco della Iniziativa Civica “Srpska” è riuscito a convincerli. Se in questa elezione l’importante era soprattutto partecipare, ha ragione Slobodan Eritz a sostenere che le elezioni nel nord del Kosovo sono state boicottate e hanno subito un fiasco completo e che, analizzate dal punto di vista della sovranità serba, le elezioni che si sono svolte nella provincia meridionale serba del Kosovo e Metohija, sono state perse. La sconfitta non risulta dal risultato delle elezioni, ma dalla decisione del Governo della Serbia di invitare i serbi del Kosovo a partecipare alle elezioni organizzate dal Governo separatista di Pristina. I serbi del nord del Kosovo, nonostante le forti pressioni ricevute da Belgrado, hanno boicottato le elezioni: al primo turno ha votato circa il 5%, e al secondo, dopo una feroce pressione politica e mediatica, meno del 20%. I serbi del nord del Kosovo considerano queste “chiamate”, questi inviti delle autorità di Serbia, in realtà, come costrizioni a vivere in una auto-proclamata “Repubblica del Kosovo”, che non riconoscono (5).

Eppure le elezioni amministrative erano importanti proprio per il Nord del Kosovo visto che da queste sarebbero stati eletti coloro che devono, adesso, rappresentare i vertici della costituenda CMS. Per questo motivo, Belgrado aveva indicato (e confidato) nella partecipazione alle elezioni l’unico mezzo per proteggere gli interessi serbi in Kosovo e invitato gli elettori a convogliare le loro preferenze sulla lista Iniziativa Civica Srpska i cui candidati sono stati presentati come coloro che tuteleranno la Serbia ed i serbi in Kosovo. La lista Srpska ha vinto in nove delle dieci municipalità a maggioranza serba (6).

Ma ha vinto davvero Belgrado?

La narrazione serba continua a presentare la CSM come una vittoria dello Stato serbo in Kosovo e la possibilità scaturita dalle urne di poterla costituire non può che essere considerata una vittoria: la Serbia ha ottenuto in Kosovo una vittoria storica, grazie alla quale sono state poste le fondamenta per la creazione della Comunità dei comuni serbi – ha dichiarato il consulente del Presidente dello Stato Marko Djuric – Dopo i risultati del secondo turno delle elezioni amministrative in Kosovo nessuno, nemmeno le autorità di Pristina, potrà fermare la formazione della Comunità dei comuni serbi. Una posizione forte della Serbia sul terreno renderà più forte la sua posizione nel dialogo che si conduce a Bruxelles. Alle autorità di Pristina non piace tutto questo (7). Vista in questa luce appare di fondamentale importanza la vittoria dei candidati della Srpska perché, essendo più vicini politicamente al Governo di Belgrado, rappresentano il modo più sicuro per fare in modo che la Serbia possa continuare a curare i propri interessi e quelli dei serbi della regione attraverso il controllo della CMS.  

Se la possibilità di costituire l’associazione delle municipalità serbe era un qualcosa di ascrivibile alla realtà più probabile, quel che a Belgrado non avevano messo in preventivo alla vigilia era di trovarsi a dover fronteggiare un confronto fra serbi sfociato nel successo del boicottaggio del primo turno delle elezioni nelle municipalità settentrionali. Questo rappresenta una sconfitta soprattutto per l’uomo emergente della politica serba, quell’ Alexander Vucic il cui futuro politico dipende dalla riuscita della prospettiva europea (che a sua volta dipende dalla capacità di Belgrado di attuare l’accordo di Bruxelles) e che ha sostenuto con forza l’accordo di Bruxelles invitando i serbi nel Nord del Kosovo al voto in nome dell’Europa: gli albanesi sono i vincitori perché sono state organizzate le prime elezioni in tutto il territorio della provincia, anche se poi effettivamente boicottate dal nord. Il perdente è la Serbia, per meglio dire l’attuale Governo di Belgrado, che per favorire l’ingresso della Serbia nell’Unione Europea fa concessioni che non hanno mai fine e che sono dannose per gli interessi nazionali. Nelle parole di Slobodan Eritz, direttore della rivista Geopolitika, è ancora viva, dunque, l’opinione che vuole la Serbia asservita ai desideri di Unione europea e Stati Uniti, vale a dire riconoscere il Kosovo in maniera incondizionata.

 

 

 

PROSPETTIVE

La prima sfida che attende Pristina e Belgrado afferisce proprio dalla Comunità delle Municipalità serbe: dagli anni 90′ fino al mese di aprile di questo anno tutte le decisioni riguardanti il Kosovo erano di competenza della Serbia. La costituzione di questa entità amministrativa cambia le prospettive. L’accordo firmato a Bruxelles sottintende un bilanciamento dei poteri nella parte settentrionale della regione e non un riconoscimento della sovranità di Pristina ed è strettamente legato a garantire una forma di autonomia da Pristina ai serbi del Nord del Kosovo rappresentata dalla stessa Comunità che, parafrasando le parole di Aleksandar Vulin, direttore dell’ufficio per il Kosovo e Metohija, non sarà una organizzazione non governativa, avrà una sua rappresentanza a Bruxelles e sarà internazionalmente riconosciuta, avrà il pieno controllo su sanità, istruzione, crescita economica e pianificazione territoriale. Adesso, le parti in causa dovranno lavorare per soddisfare la necessità di trasformare le linee dell’accordo in incentivi tangibili per i serbi del Nord Kosovo per poter andare oltre l’astratta previsione della CMS.

Le parole di Kristmir Pantic, eletto sindaco di Mitrovica Nord a capo della lista Iniziativa Civica Srpska, sono un evidente sintomo di come l’Associazione delle Municipalità serbe rappresenti una barriera per impedire il riconoscimento del Kosovo quale Stato indipendente: “(in) nove comuni con la maggioranza serba hanno vinto la politica ufficiale dell’esecutivo serbo e la Serbia. Grazie a questa vittoria sarà continuata la nostra lotta per la sovranità serba in Kosovo. In nove comuni dove avremo la maggioranza i serbi continueranno a proclamare ad alta voce che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo”. È chiaro come la Serbia e i suoi rappresentanti nel Nord del Kosovo non accetteranno l’interferenza di Pristina e questo è difficile da accettare per le istituzioni kosovare. Gli albanesi guardano alla nascita dell’Associazione alla stregua di una nuova Repubblica Srpska, un’entità separata all’interno del proprio territorio ma oltre il suo controllo. Pur non avendo lo stesso carattere giuridico della Republika Srpska di Bosnia a Pristina si teme ancora che si arrivi ad una bosnianizzazione della regione, timori alimentati anche dal fatto che l’accordo di Bruxelles non fa menzione dei legami tra la CMS e Belgrado e, soprattutto, non li regolamenta.

Pristina, ovviamente, vorrebbe il controllo del Nord ma non potendolo ottenere nel breve periodo – se non ricorrendo ad un improbabile atto di forza – può attuare una strategia di lungo periodo  proprio in virtù dei risultati delle elezioni amministrative:  la lista Iniziativa Civica Srpska affine al credo politico di Belgrado, infatti, dovrà condividere il potere locale con altri partiti, tra cui, per esempio, la Iniziativa Civica SDP di Oliver Ivanovic, più aperti al dialogo con Pristina. Questo scenario potrebbe far vacillare la visione strategica di Belgrado dal momento che, per governare, la Srpska dovrà formare delle coalizioni con altre forze politiche. La cornice di riferimento del discorso strategico serbo non è solida: se non fossero state ripetute le elezioni nei seggi di Mitrovica si sarebbe rischiato di avere un sindaco e una maggioranza del consiglio municipale albanesi e a quel punto il castello di carte sarebbe crollato. Slobodan Eritz è convinto che, una volta appurata la riuscita del boicottaggio, siano stati inscenati finti incidenti, al fine di trovare una ragione formale per la ripetitività del voto, e poi, attraverso una maggiore pressione politica e mediatica si sia alzata l’affluenza dei serbi alle urne, in quanto questi ultimi sapevano di quanti voti avevano bisogno per far eleggere un sindaco serbo. Nell’opinione del giornalista esperto di questioni balcaniche Jean-Arnault Derens, annullare le elezioni permette ai protagonisti degli “storici” accordi degli scorsi mesi di non perdere la faccia, gettando l’intera responsabilità dell’accaduto addosso ai “radicali” mascherati, impossibili da riconoscere. (…) Nel breve termine, gli incidenti fanno il gioco di Belgrado, perché se le elezioni si fossero svolte senza intoppi, il passo seguente sarebbe stato necessariamente il riconoscimento dell’indipendenza della provincia. La Serbia può guadagnare tempo (8).

Può guadagnare tempo ma l’attuale posizione di forza data dalla vittoria della Srpska potrebbe indebolirsi nel medio periodo perché strettamente legata ai risultati delle elezioni. Se questi non si confacessero alla visione serba? Se vincessero candidati non legati ai partiti di Belgrado? Se a vincere fossero gli esponenti dei partiti che aprono al dialogo con le istituzioni della provincia? (9)

Nel medio e lungo periodo, questo scenario avvantaggia Pristina che può cercare di influenzare la CMS facendo pressione su quei partiti serbi che sono aperti ad una collaborazione per, poi, vincolarli alla propria linea politica.

Rimane in sospeso la questione relativa al riconoscimento del Kosovo: la legittimità internazionale delle istituzioni di Pristina è strettamente legata ai desideri politici serbi e rimane legata al cammino europeo di Belgrado.  Se si pensa che anche l’implementazione dell’accordo siglato a Bruxelles non ha garanti e garanzie internazionali e che questa si basa solo sulla buona volontà delle due parti, si comprende come l’edificio sia costruito su fondamenta tutt’altro che solide.

Il successo di facciata delle elezioni amministrative permette, però, alla Serbia e al Kosovo di rilanciare e di continuare il proprio cammino verso l’integrazione nelle strutture comunitarie. Come ben fa notare Matteo Tacconi in un articolo apparso su Longitude, una delle ragioni di questo desiderio europeo è money, il denaro. (10) Nikolic, una volta eletto Presidente nel maggio dello scorso anno, dipinse il proprio Paese come una casa con due porte, una rivolta verso l’UE e una rivolta verso la Federazione Russa. Quest’ultima, nonostante gli investimenti in settori chiave non sembra in grado di generare cambiamenti nella vita economica della Serbia e, per questa ragione, l’avvicinamento a Bruxelles è diventato prioritario per Belgrado. Ovviamente, anche Pristina ha l’occasione di rilanciare la propria debole (se non inesistente) economia con il supporto forte e presente dell’UE attraverso i fondi IPA (Instrument for Pre-Accession Assistance) destinati alla regione.

L’integrazione europea deve essere giocata su tre diversi campi: sulla progressiva stabilizzazione della regione, sulla riconciliazione e sullo sviluppo economico e sociale. Se per quest’ultimo aspetto si sono fatti considerevoli passi avanti, le recenti elezioni amministrative kosovare hanno lasciato in sospeso i problemi relativi ai primi due campi di azione. Il cinismo spicciolo di Catherine Ashton e il suo desiderio di lasciare un segno tangibile del proprio operato prima di lasciare la carica di Alto Rappresentante per la politica estera europea hanno fatto sì che  l’accordo del 19 aprile fosse basato sul concetto di mono-etnic based solution e rendesse vani 14 anni di tentativi di costruzione di uno Stato multietnico con la netta separazione tra i serbi e gli altri. La formazione della CMS renderà più profonda questa divisione: è improbabile, infatti, che l’implementazione delle linee guida dell’accordo porti ad una totale integrazione dei serbi del Nord del Kosovo all’interno della cornice legale del nuovo Stato; è, bensì, più probabile che si verifichi un accentuarsi della divisione interetnica resa possibile stavolta dalla separazione istituzionale rappresentata dalla CMS.

Alla luce di questo, non è facile capire chi sia il reale vincitore delle elezioni.

 

 

 

Note 

 

1.         Il primo turno delle elezioni si è tenuto il 3 novembre mentre il secondo l’1 dicembre. Il 17 novembre, invece, si è ripetuto il voto nei tre seggi di Mitrovica Nord assaltati durante il primo turno e che ha spinto la Commissione Elettorale Centrale di Pristina a rendere nullo il voto e a ripeterlo.

2.         Per alcuni dati sull’economia del Kosovo consigliamo la lettura dell’articolo http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/La-fragilita-economica-del-Kosovo-130750 mentre per i dati relativi alle elezioni rimandiamo al sito ufficiale della Commissione Elettorale Centrale di Pristina http://82.114.76.26/NightResults/Results.aspxRaceID=1&UnitID=1&IsPS=0&Turnout=3&LangID=1

3.         http://www.partitodemocratico.it/doc/262121/elezioni-amministrative-in-kosovo-gualtieri-importante-passo-in-avanti-verso-la-democrazia.htm

4.         Per comprendere le modalità decisionali in Kosovo rimandiamo all’interessante articolo di Henrique Schneider, The Village and the Municipality in political struggle: a case study in today’s Kosovo, Balcanistica, num. 26, 2013, pp. 161 – 181.

5.         Intervista completa a Slobodan Eritz http://www.eurasia-rivista.org/intervista-sulla-situazione-in-kosovo-e-metohija-a-slobodan-eritz/20456/

6.         La lista Iniziativa Civica Srpska ha vinto a Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Zvecan, Leposaviq, Novo Brdo, Gracanica, Partes, Ranilug, Klokot. A Strpce, invece, a vincere è stato il candidato del Partito Liberale Indipendente (SLS), favorevole al dialogo con Pristina.

7.         http://voiceofserbia.org/it/content/djuric-nessuno-pu%C3%B2-formare-la-creazione-della-comunit%C3%A0-e-comui-serbi

8.         http://www.lindro.it/politica/2013-11-06/106929-kosovo-per-la-normalizzazione-servira-tempo

9.         Anche una vittoria al ballottaggio di Oliver Ivanovic con la sua Iniziativa Civica SDP avrebbe creato delle difficoltà a Belgrado nel mantenere il saldo controllo dell’Associazione delle Municipalità considerato il fatto che Ivanovic si è sempre dichiarato favorevole al dialogo con Pristina e che questi non appartiene a nessun partito di stanza a Belgrado.

10.       Tacconi M., Let’s Make a Deal, Longitude, numero 28, anno 2013, p. 71.

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